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Il Museo Diocesano fu istituito con Decreto Arcivescovile il 25 marzo 2003 in occasione della festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria e venne inaugurato alla presenza del Ministro Urbani nel dicembre 2003. Fu proprio il lungimirante ordinario diocesano del tempo Mons. Ruppi, a chiedere di destinare alcune superfici per la realizzazione del Museo al termine del restauro dell'Antico Seminario Arcivescovile di Lecce. Il Museo comprende una parte moderna ed una antica, realizzando diversi percorsi che mettono in luce le ricchezze della Chiesa di Lecce e consente di percorrere le tappe di uno sviluppo artistico che si è andato intensificando soprattutto nei secoli XVI -XVII. Il Museo accoglie pitture, sculture, parati liturgici, suppellettili ed arredi sacri provenienti dal tesoro della Chiesa Cattedrale e da altri enti ecclesiastici del territorio diocesano. Interessante è la sala degli artisti locali, dove sono esposte opere di pregevolissima fattura, tra cui molte tele, sculture e opere in cartapesta leccese. Il Museo è allocato all’interno dello splendido Seminario Vescovile di Lecce. Il Palazzo del Seminario di Lecce fu inaugurato il primo settembre del 1709 e fu, in ordine di tempo, il terzo ad essere costruito in Terra d’Otranto, dopo quello di Taranto (1568) e di Nardò (1674). Fu realizzato dopo circa un secolo e mezzo dall’obbligatorietà dell’applicazione delle innovazioni deliberate dal Concilio di Trento (1545-1563), in ambito al processo riformatore della Chiesa romana. Le vicende della sua costruzione non possono essere lette se non nello scenario dell’impegno pastorale dell’episcopato leccese. I presuli, che nel tempo si sono avvicendati nella guida della Diocesi, concordano sulla non poca fatica per erigerlo, ponendo come motivo primario le scarse risorse economiche. Tuttavia, studi di settore hanno chiarito che altre sono le ragioni del ritardo della sua edificazione, nonostante le numerose sollecitazioni da parte della Congregazione del Concilio. Infatti, considerando che la sede episcopale di Lecce, dopo Taranto, risulta essere economicamente una delle più solide, il continuo rinvio dell’edificazione del Seminario è individuabile nella poca incisività di una politica religiosa episcopale nei confronti degli ordini religiosi già radicati nella città (Agostiniani, Conventuali, Domenicani, Gesuiti), i quali detenevano il campo degli studi teologici, filosofici e di sacra scrittura e a cui era assegnata l’esclusiva competenza della formazione dei chierici. Lo stesso Luigi Pappacoda (1639-1670), impegnato nel riscatto della dignità vescovile e nella costruzione della “città-chiesa”, non affronta il problema dell’edificazione del Seminario con la stessa determinazione con cui promuove il rilancio della vita religioso-istituzionale della Diocesi. Alla fine, un suo successore, Michele Pignatelli (1682-1695), utilizzando risorse proprie, porta a soluzione la costruzione del Seminario ed affida il progetto a Giuseppe Cino (1645-1722). Mercoledì 14 aprile 1694 è posta la prima pietra della fabbrica. Tuttavia, sarà il suo successore, Fabrizio Pignatelli (1695-1734) che ne concluderà la costruzione con la realizzazione (1729) del piano attico su progetto di Mauro Manieri (1687-1744). Dopo le vicissitudini di gran parte dell’Ottocento (dalla presenza di una compagnia di soldati moscoviti allo stazionamento di truppe francesi; dalla sua soppressione napoleonica alla riapertura e all’occupazione di truppe regie nel 1848; sino al progetto, fortunatamente mai realizzato, di farne una caserma) il Seminario diventerà, nella seconda metà del secolo, il centro della formazione morale degli ecclesiastici, ma anche di tanti eruditi salentini che lo frequentarono da esterni e vi studiarono. Al tempo di Mons. Gennaro Trama il Seminario raggiunse il massimo splendore. Con l’istituzione del Seminario Regionale (1908) rimase come seminario minore per seminaristi e convittori laici. L’edificio appare con una facciata armoniosa a bugne lisce, divisa simmetricamente da paraste, tra le quali sono due ordini di finestre definite da un’elegante cornice. Il bel portale, nella parte superiore, è sormontato da una loggia a tre archi. L’atrio d’ingresso, arricchito dalla presenza di otto busti raffiguranti i Dottori della Chiesa, immette nell’arioso cortile, contrassegnato, al centro, dalla presenza di una graziosa vera di pozzo, ideata e scolpita dallo stesso Giuseppe Cino. Attualmente il complesso ospita la Biblioteca Innocenziana, l’Archivio della Curia Vescovile, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano ed il Museo Diocesano di Arte Sacra. Vi sono conservati dipinti, sculture, argenti e paramenti liturgici che non solo documentano un percorso della storia artistica della Diocesi, con particolare riferimento alla città, ma testimoniano anche il ruolo svolto dalla Chiesa nella vita della comunità dei credenti, alla quale oggi ancora quegli oggetti si propongono come realtà culturale che vuole sollecitare un ritorno alle proprie radici. La collezione dei dipinti costituisce la parte visivamente preponderante del patrimonio esposto e abbracciano un arco di tempo che va dalla fine del ‘400 alla fine del ‘700. Dalla tavola veneziana con la Madonna del Carmine alla Madonna del Rosario del pittore leccese Oronzo Tiso, si susseguono i diversi modi e le diverse forme con cui si manifestarono volta per volta l’impulso religioso e la volontà espressiva dell’artista. Così è possibile, ad esempio, incontrare la verità della testimonianza della fede di S. Orsola nella grande pala di Paolo Finoglio o l’idealizzata trasposizione dell’istituzione della Chiesa nel dipinto Pasce oves meas, probabile opera di Nicolas Poussin. Tra le sculture i pochi esempi presenti nel museo non smentiscono la loro perfetta sintonia con la funzione che svolgevano le immagini dipinte; condividendone la cultura figurativa e i relativi mutamenti, anche le sculture, sulla spinta di moventi religiosi, si fecero a seconda dei tempi “scultura devota” come nell’Ecce Homo o espressione di una religiosità “trionfalistica e aristocratica”, come nell’Assunta di Nicola Fumo. Degno d’attenzione è, al momento, l’unico esempio di statuaria in cartapesta, la Giuditta di Raffaele Caretta, che non solo testimonia significativamente il diverso modo di interpretare la visione religiosa nei tempi a noi più prossimi, ma costituisce prova del livello di dignità artistica raggiunto da questa forma “più povera” di produzione artistica. Di grande interesse sono le argenterie nella maggior parte eseguite da argentieri napoletani, gli oggetti esposti sono quasi tutti quelli che costituivano il tesoro liturgico della Cattedrale di Lecce, formatosi soprattutto tra Seicento e Settecento. Per tale felice coincidenza, la natura preziosa del loro materiale ha finito per esaltare quei caratteri di splendore che furono propri della visione barocca e che sostanziarono in modo speciale anche le forme proprie della liturgia.
Data ultimo aggiornamento: 01/04/2021